
Dipendenti Pubblici: riconosciuto il diritto al pagamento delle ferie non godute
I dipendenti della pubblica amministrazione hanno il diritto al riconoscimento di un’indennità finanziaria per le ferie annuali non godute al momento della cessazione del rapporto di lavoro.
Così ha stabilito la corte dell’unione europea con la sentenza N°218/22 del 18 gennaio 2024, chiarendo che la normativa nazionale (l’articolo 5, comma 8, del decreto-legge n. 95,) che, per ragioni attinenti al contenimento della spesa pubblica e alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, prevede il divieto di versare al lavoratore un’indennità finanziaria per i giorni di ferie annuali retribuite maturati sia nell’ultimo anno di impiego sia negli anni precedenti e non goduti alla data della cessazione del rapporto di lavoro, qualora egli ponga fine volontariamente a tale rapporto e non abbia dimostrato di non aver goduto delle ferie nel corso di detto rapporto di lavoro per ragioni indipendenti dalla sua volontà. Tale normativa secondo la giurisprudenza della CGUE si pone in contrasto con l’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 2003/88, il quale dispone che gli Stati membri prendono le misure necessarie affinché ogni lavoratore benefici di ferie annuali retribuite di almeno quattro settimane, secondo le condizioni di ottenimento e di concessione previste dalle legislazioni e/o prassi nazionali.
Da ciò consegue che “un lavoratore, che non sia stato in condizione di usufruire di tutte le ferie annuali retribuite prima della cessazione del suo rapporto di lavoro, ha diritto a un’indennità finanziaria per ferie annuali retribuite non godute. A tal fine è privo di rilevanza il motivo per cui il rapporto di lavoro è cessato. Pertanto, la circostanza che un lavoratore ponga fine, di sua iniziativa, al proprio rapporto di lavoro, non ha nessuna incidenza sul suo diritto a percepire, se del caso, un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite di cui non ha potuto usufruire prima della cessazione del rapporto di lavoro. D’altra parte, secondo la Corte “per quanto riguarda l’obiettivo inteso al contenimento della spesa pubblica, è sufficiente ricordare che dal considerando 4 della direttiva 2003/88 risulta che la protezione efficace della sicurezza e della salute dei lavoratori non può dipendere da considerazioni di carattere puramente economico”.
La sentenza non manca tuttavia di sottolineare che “quanto alle esigenze organizzative del datore di lavoro pubblico, occorre rilevare che esso concerne, in particolare, la razionale programmazione del periodo di ferie e l’incentivazione dell’adozione di comportamenti virtuosi delle parti del rapporto di lavoro, di modo che esso può essere inteso come finalizzato a incentivare i lavoratori a fruire delle loro ferie e come rispondente alla finalità della direttiva 2003/88,” come risulta dal punto 38 della sentenza medesima.
Le sentenze della Corte di giustizia UE, come ripetutamente stabilito anche dalla Corte costituzionale (C. Cost.le n. 284/2007) “hanno, al pari delle norme dell’Unione direttamente applicabili cui ineriscono, operatività immediata negli ordinamenti interni e “le sentenze della Corte di giustizia vincolano il giudice nazionale all’interpretazione da essa fornita, sia in sede di rinvio pregiudiziale, che in sede di procedura d’infrazione» (C. Cost.le n. 227/2010).
Non hanno quindi valore abrogativo delle disposizioni legislative nazionali ma devono essere tenute in considerazione dal giudice nazionale chiamato dal lavoratore a pronunciarsi sul suo diritto alla monetizzazione delle ferie.
A tale proposito, è necessario sottolineare che il datore di lavoro è segnatamente tenuto “ad assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in condizione di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo, in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e la distensione cui esse sono volte a contribuire, del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato, o non potranno più essere sostituite da un’indennità finanziaria. “
E’ dunque interesse del datore di lavoro pubblico, e in particolare del dirigente, prestare attenzione al fatto che la sentenza in questione determina sì il vincolo del riconoscimento alla monetizzazione delle ferie da parte del giudice nazionale ove chiamato a decidere, ma non l’abrogazione delle disposizioni di cui all’art. 5 del D.L. 95/2012, che continuano ad essere applicabili così come il comma 8, la cui violazione “oltre a comportare il recupero delle somme indebitamente erogate, è fonte di responsabilità disciplinare ed amministrativa per il dirigente responsabile”.
Autore: Giovanni Pirisi - Esperto in materia di Contabilità Pubblica e Personale - Già Dirigente P.A., iscritto al registro dei revisori dei conti e OIV.